Solidarietà, collaborazione, sostegno. Assistiamo alla straordinaria mobilitazione di tutte le risorse, umane, digitali e tecnologiche per garantire il diritto all’istruzione.
La scuola si fa, più che mai, comunità, in cui il ruolo di ciascuno diventa vitale e vitale diventa l’alleanza con le famiglie, nel tentativo di raggiungere tutti e di sostenere i più fragili.
Gli insegnanti si confrontano con il nuovo, sfidano le proprie competenze didattiche, imparano a fare scuola nella tecnologia e con la tecnologia, sforzandosi di continuare a sentirsi educatori anche dietro lo schermo di un monitor.
Ma è vera scuola?
La pandemia, con la sua scuola digitale, invita a riflettere su un tema cruciale, da tempo oggetto di dibattito in ambito pedagogico: educare o istruire? Dov’è la scuola che guarda alla “persona” nella sua unicità e che educhi ad essere, pensare, sentire ed agire?
Mai prima d’ora, gli insegnanti sembrano recuperare il loro ruolo di “professionisti riflessivi”, cercando strade nuove per motivare e guidare i bambini ad essere costruttori attivi dei loro processi di apprendimento. Eppure, quanto del prezioso tempo calendarizzato è riservato a rielaborare vissuti, esprimere sentimenti, dare un nome alle emozioni dei bambini? In quale tempo si può favorire l’ascolto autentico, il dialogo con i bambini e fra i bambini?
Le ore in cui i bambini siedono davanti al monitor a svolgere compiti sono quelle che soddisfano la logica del programma da rispettare, delle valutazioni e dei giudizi da compilare.
È una scuola che non c’è. È una scuola che vuole recuperare tempo. Il tempo tolto al leggere, scrivere e fare di conto che poco si cura degli stati d’animo, del ritmo troppo serrato, del senso di solitudine, degli affetti monchi. Che sia ora di restituire valore al tempo?
Il tempo è un bene prezioso, ottima riflessione. Spunto operativo per una “revisione del fare scuola”. Complimenti