Se si vuole che il rapporto educativo funzioni è necessario, prima di incominciare a trattare i vari contenuti previsti dai “programmi”, creare con gli studenti una relazione.
Durante le prime fasi della conoscenza, presentarsi alla classe parlando di sé, di quello che si è, dei propri hobby… non è tempo perso, perché i contenuti passano esclusivamente attraverso il dialogo empatico – se si parla di sé anche loro incominceranno ad interloquire in modo del tutto spontaneo –.
Una materia amata può trasformarsi nella peggiore disciplina se con l’insegnante si creano attriti ed incomprensioni, così come una materia odiata, può diventare una disciplina amata, se con quel determinato docente si costruiscono le basi per un rapporto di fiducia.
Far capire allo studente che lui non è “Altro da me”, ma “parte di me” e che tra l’Io e il Tu non c’è contrapposizione, ma un Noi, significa porre le condizioni per un apprendimento efficace ed efficiente.
Gli insegnanti, inoltre, non devono mai dimenticare di essere stati giovani anche loro, allo scopo di evitare dure condanne nei confronti di quegli studenti che fanno qualcosa che magari avrebbero potuto evitare. E’ bene che ricordino gli errori commessi e come avrebbero voluto che gli altri si fossero relazionati per capire come rimediare.
Non è difficile, basta far passare nella mente le immagini del passato per scoprire che non esistono giovani di ieri e giovani di oggi, ma solo GIOVANI che – seppur non sempre apertamente – tendono le loro mani, affinché qualcuno le accolga.
Tutti i docenti dovrebbero comprendere non per giustificare, ma per trovare le strategie che più si adattano a Giovanni, a Francesca, a Giulio…, nella consapevolezza che gli individui sono unità bio-psico-sociali uniche ed irripetibili. Questo significa che non esiste un modello unico valido per tutti, ma tanti modelli a seconda degli studenti con i quali si ha il privilegio di lavorare tutti i giorni.
Un bravo insegnante dà tanto agli studenti, ma anche gli studenti danno tanto agli insegnanti. Attraverso i loro occhi ogni giorno si riescono a collocare in nuovi orizzonti di senso idee, immagini e modalità di interpretare il mondo.
Docente di Filosofia e Scienze Umane
Essendo una studentessa da 12 anni ormai, sono stata a contatto con l’ambiente scolastico quasi tutti i giorni, direttamente con le lezioni, e indirettamente con i compiti per casa. Posso dire con certezza che il rapporto professore-alunno sia la base di un apprendimento sereno che possa mettere a proprio agio lo studente e incentivare la sua volontà di conoscenza e la sua curiosità. Molte volte mi è capitato di iniziare l’anno amando una materia e finendolo con l’odiarla, non per la maggiore difficoltà di questa, ma per il metodo utilizzato dall’insegnante che non trovavo adatto alla classe o, più in grande, alla generazione a cui stava facendo lezione. È quindi molto importante per me che entrambi le parti imparino a conoscersi meglio per migliorare il clima di fiducia all’interno della classe e rendere meno pesanti le lezioni che ci sembrano sempre troppo soffocanti. Concludo dicendo che gli studenti non esistono senza gli insegnanti, ma la cosa è reciproca.
Ti ringrazio per aver letto con attenzione l’articolo e per la tua risposta/riflessione ben argomentata. Provate a parlare con i vostri insegnanti dicendo loro cosa vorreste. Lo so è difficile, ma chiedere utilizzando modi cortesi potrebbe aprire nuovi mondi. Buona fortuna
Sono una studentessa di 17 anni e, in base alla mia esperienza in quanto tale, credo fermamente che la scuola debba prendere in considerazione questi criteri di insegnamento o per lo meno che i professori prendano come esempio questa modalità di approccio basandosi sulle linee base descritte e provino ad esercitarle nella loro esperienza personale quotidiana con noi studenti.
In questo modo si riuscirebbe a raggiungere l’obiettivo principale della scuola ovvero capire, imparare e apprendere con gusto per espandere il nostro sapere in modo da acquisire le informazioni essenziali facendole nostre e percepire i principi fondamentali che formano la persona che siamo e che saremo in futuro.
Attraverso questo tipo di insegnamento sarà possibile interagire direttamente con gli studenti in modo sincero, limpido e pulito senza i sotterfugi, le strategie o le scuse che spesso avvengono o si teme che avvengano alle spalle: si riuscirà ad conquistare la fiducia dello studente e di conseguenza egli conquisterà quella del professore. Saremmo tutti più tranquilli, uniti e più felici di incontrarci con la libertà di scambiare le nostre opinioni, punti di vista costruendo un dibattito formativo
Questo sarebbe l’ideale!
Grazie per la tua riflessione. Così come ho scritto ad un’altra studentessa, consiglio di parlare con i vostri docenti, in modo corretto, evidenziando i vostri disagi, le vostre paure, le vostre necessità. Non è detto che le cose cambino, ma è importante provare. Buona fortuna
Sono un’insegnante e con due classi di terza media non riesco ad instaurare nulla. Il problema non è solo mio anche se non è una giustificazione ma non so più come prendere questi ragazzi. Le parole non servono e mi dispiace molto. Non so cosa fare
C è un confine sottile tra insegnare in maniera aperta ed empatica ed educare alla totale irresponsabilità. Molti ragazzi comprendono le buone intenzioni del prof empatico altri invece utilizzano l’ incapacità di mettere paletti come un messaggio di impunità.
Strumentale è poi spesso il buonismo nella scuola per non avere problemi con i genitori.
Questa realtà esiste. Accanto all altra, dove l’ empatia ha davvero successo.
Bisogna contemplare entrambi gli effetti e distinguere nei contesti non dando per scontato che l effetto atteso sia quello reale.
Per non meravigliarsi poi di fronte ai ragazzi che, per esempio, festeggiano sfidando l autorità , perché non la riconoscono più, neanche come autorevolezza, sui Navigli.
Sono insegnante da anni di diritto, una materia che, per le ore dedicatele, appare noiosa ed inutile. Sono una persona normale, come tante altre, ho 45 anni. Tutto sommato nemmeno tanti. Eppure sono sommersa di critiche da alcuni dei miei studenti, che mi dedicano frasi e commenti offensivi e feroci (che preferisco non riportare), in quelle terribili trappole di risentimento e leggerezza che sono le cosiddette “chat di classe”. Ho a che fare con ragazzi problematici, ai quali dedico molta attenzione ed empatia, con altri alunni attenti, altri polemici, altri arroganti, molti presuntuosi. Paradossalmente preferisco le classi “effervescenti”, in cui nasce la discussione, il dialogo, finanche la polemica. Eppure il dialogo non deve mai prescindere dal reciproco rispetto e, spesso, il rispetto è univoco. Resto quindi rigida e non accondiscendente: nelle mie lezioni niente cellulare, niente focacce, niente bibite, niente macchinette. Poche uscite per il bagno. Mi sembra assurdo persino scriverlo, eppure devo. Perché, essendo intransigente su questi punti, sono letta come …(immagini gli epiteti più offensivi e non renderanno l’idea). I miei studenti ammettono candidamente di non voler studiare perché vogliono lavorare. Il merito va tutto a questa nuova scuola delle “competenze”, dove ti insegnano cosa devi fare, prima di chi vuoi essere. Nessun interesse per il ragionamento, nessuno spazio per la creatività, per il pensiero divergente. E questo è il risultato. Maleducazione e disinteresse per tutto ciò che viene visto come “teorico”.